Pietro Cavallini (Roma, 1240 circa – 1330 circa) che fu probabilmente maestro di Giotto, è l’autore di uno dei tesori più preziosi che si custodiscono nel Monastero di S. Cecilia: l’affresco dipinto sulla controfacciata della chiesa, oggi non più visibile dall’aula delle celebrazioni.
L'opera raffigura la Venuta finale di Gesù in questo mondo, secondo i moduli elaborati tradizionalmente in Oriente e in Occidente sul Vangelo di Matteo 19,28: "II Figlio dell'Uomo seduto sul trono della sua gloria e dodici suoi apostoli, seduti con lui a giudicare le dodici tribù del suo popolo"; 24,30-31: "Comparirà nel cielo il Segno del Figlio dell'Uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell'Uomo. Egli manderà i suoi angeli con la tromba a radunare tutti i suoi eletti..."; 25,31-32: "Quando il Figlio dell'Uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli si siederà sul trono... E saranno riunite davanti a lui tutte le genti ed egli separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore dai capri...".
Al centro appare la figura di Cristo giudice seduto su un prezioso trono tempestato di gemme. Al di sotto vi è l'altare, alla maniera bizantina, con gli strumenti della passione: la spugna, il vasetto del fiele, i chiodi, la lancia che aprì il costato di Gesù in croce. La mandorla ovale in cui è raffigurato il Cristo è contornata da otto serafini. A sinistra, per chi guarda ma alla destra di Cristo, in piedi, si trova la Vergine in preghiera e rivolta all'Eterno; accanto a lei: Paolo Apostolo, Taddeo, Giacomo Maggiore, Matteo, Bartolomeo e Filippo. A destra per chi guarda ma alla sinistra di Cristo, ci sono, in piedi: S. Giovanni Battista, e gli apostoli Pietro, Giovanni, Tommaso, Giacomo minore, Andrea e Simone.
Nella fascia inferiore, alla destra del Redentore, sono raffigurati i beati accolti dagli angeli, divisi in tre gruppi, tra cui i più vicini a Cristo sono i santi diaconi Lorenzo e Stefano primo martire. Dietro ad essi è raffigurata una santa coronata e accolta da un angelo, probabilmente Santa Cecilia.
A sinistra di Cristo sono affrescate le anime dei dannati, divise anche queste in tre gruppi, con gli angeli intenti a respingerle. Il primo angelo spinge i dannati con le mani, il secondo con la lancia e il terzo con l'arma infilza il corpo del diavolo. Lo schema complessivo dell'affresco è di impostazione bizantina, ma l'artista se ne discosta nella ricerca di una costruzione prospettica, nell'esecuzione ben proporzionata della testa dei personaggi, nelle sfumature morbide e innovative dei colori.
In prosecuzione laterale del Giudizio, Pietro Cavallini dipinse sulle pareti sopra gli archi della navata, dall'ingresso della basilica sino all'arco trionfale avanti l'abside mosaicata, una fascia in tutti e due i lati con raffigurazione "tipologica", cioè con i "tipi" ovvero le "anticipazioni" nell'Antico Testamento, e i "misteri" ovvero gli "eventi" nel Nuovo Testamento, a specchio tra loro. Ne è rimasto soltanto l'attacco iniziale, a destra e a sinistra del Giudizio, con l'"evento" dell'Annuncio a Maria per la Nascita di Gesù, e, a specchio nella parete di fronte, Isacco che di Gesù è "tipo".
Infine, alla giuntura angolare tra la parete con il Giudizio e la parete con l'Annunciazione, è dipinta fuori scala una figura che per tanti è un enigma (Sansone, il gigante Golia, Giuditta, l’Arcangelo S. Michele?).
Raffigura, il cosiddetto "Angelo del Testamento” l’angelo che giganteggia sul tempo e sullo spazio, il Verbo di Dio, Dio stesso inviato agli uomini di ogni tempo e di ogni spazio, la "Parola di Dio" venuta sin dall'Antico Testamento ed eminentemente nel Nuovo Testamento a rivelare il progetto di Dio per la salvezza dell'uomo.
Da notare infine, per la profondità dello spessore teologico degli artisti Cavallini e Arnolfo di Cambio, il particolare straordinario: essi hanno voluto allineare lo sguardo di Cristo giudice dell'affresco con l'Agnello mistico raffigurato nel mosaico dell'abside (cosa che si può osservare guardando dal centro della grata del coro verso l'abside). La nostra salvezza è raccolta ed espressa dallo sguardo di Cristo giudice che è anche l'Agnello immolato sulla croce per amore dell’uomo.
Gli affreschi furono tagliati al momento della costruzione del coro cinquecentesco delle monache, quando, in seguito alle leggi della clausura ristrette dal Concilio di Trento, esse non poterono più partecipare alle celebrazioni in basilica e il pregevole dipinto venne nascosto da una volta lignea; perciò per secoli non se ne è saputo nulla. Scoperto all'inizio del secolo XX in occasione della costruzione di un nuovo coro monastico, l'affresco fu restaurato negli anni ’80 del Novecento a cura di Donatella e Carlo Giantomassi. Per accedervi oggi è necessario raggiungere il coro dall’ingresso del monastero.